Kalashnikov by Domenico Quirico

Kalashnikov by Domenico Quirico

autore:Domenico Quirico [Quirico, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2024-01-04T12:00:00+00:00


4

Il comandante

Siria

2011: l’anno delle rivolte, delle effimere Primavere arabe, dei dinosauri del potere che da Tunisi al Cairo vacillano come vecchi birilli. È rivolta anche a Damasco, a Homs, ad Aleppo, dove il dominio della Famiglia, gli Assad, prima padre e poi figlio, sembra il più incrollabile. Il giovane Bashar ha perfino tentato un maquillage modernista, ha introdotto nella stantia economia alla sovietica del padre gocce di mercato e di Internet. A tenere in mano i bulloni del potere provvedono però sempre i mukhabarat, i feroci sgherri dei servizi di sicurezza in mediocri giacche di pelle e baffoni all’ingiù, onnipresenti e onnipotenti. I siriani guardano la TV, vedono le piazze in tumulto di Tunisi, del Cairo, di Tripoli, iniziano anche loro a manifestare pacificamente: «Bashar vai via». Credono nel contagio, pensano che basti. Il regime provoca, fa sparare sulla folla, l’ipotesi che Bashar si arrenda si spegne. Soldati e ufficiali disertano per non obbedire all’ordine di massacrare i fratelli. Inizia la rivoluzione che fu idea alta, e impavida temeraria. Bashar conta su alleati implacabili, Putin e l’Iran, non lesina truculenze e massacri. Dopo dodici anni di torbido narrare resta la limpida angoscia di cinquecentomila morti, forse di più. Perché la rivoluzione colma di ombre e di luce affonda dal 2012 nella guerra civile. Non ci sono jihadisti nell’Armata siriana libera, all’inizio. Irrompono quando i ribelli sono allo stremo, senza armi e senza aiuti dell’Occidente che resta pilatescamente a guardare. Al-Qaida e poi Daesh trasformano la Siria nel breve califfato di Eaqqa e Mosul. La rivoluzione è morta, Assad è ancora al potere.

Quando arrivai ad Aleppo la città era simile a quelle persone che si trovano sospese tra due scelte fondamentali, tra due modi di vivere senza poterli davvero scegliere: non apparteneva alla ribellione, ma non era più una parte del regime di Bashar al-Assad, non riusciva a decidersi a lasciare definitivamente l’uno per gettarsi nelle braccia dell’altra. Un particolare, un dettaglio, che probabilmente sarebbe sfuggito a chi si batteva in mezzo a polvere e rovine, poteva decidere chi l’avrebbe, alla fine, presa in pugno: una riunione a migliaia di chilometri di distanza, alla Casa Bianca a Washington, una telefonata tra il Palazzo sulle alture di Damasco e i saloni del Cremlino, o l’arrivo di un messaggero travestito da sant’uomo capace di recitare il Corano che portava con sé l’annuncio che Dio sarebbe sceso in campo, proprio lì, dov’era fissata alla fine dei tempi la lotta tra il bene e il male. E sarebbe stato un dio implacabile e guerriero.

Quando l’autista a cui i ribelli mi avevano affidato per portarmi in città arrivò in quelli che un tempo erano i sobborghi industriali la notte cadeva pesante, sontuosa, e ti soffocava con il suo alito caldo. L’autista, che si era lasciato dietro la pista che dalle colline scendeva verso la città tenendo l’acceleratore della Toyota schiacciato sempre a fondo, non riusciva a domare l’eccitazione che lo aveva invaso negli ultimi chilometri. «Anche stavolta è andata, è andata, sia ringraziato Dio» ripeteva, e continuava ad accelerare anche ora che era entrato nella zona controllata dai ribelli.



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